07/03/09

Paesaggi Postindustriali, Quodlibet


POST-INDUSTRIAL SHORTCUTS

“Il cinema ci mostra il paesaggio urbano dalla prospettiva delle immagini” (Wim Wenders).
L’uso del cinema è strumento indispensabile nel raccontare la città, testimone ne è la macchina da presa, fuoriscala, di Dziga Vertov che domina sulla città e diventa occhio assoluto che tutto osserva e documenta.
Nessuno strumento come la cinepresa riesce a descrivere i luoghi e gli spazi, nel suo muoversi calibrato e attento, attraversando e schivando, svelando e nascondendo, ci immerge in racconti di immagini attraverso un “linguaggio universalmente comprensibile.” (Wim Wenders).
“Il cinema è arte, ma l’arte del cinema è il montaggio. Tutto quanto precede il montaggio è semplicemente un modo di produrre una pellicola da montare." (Stanley Kubrick).

Questo è stato il lavoro fatto, ri-montare scene estrapolate dai film per ri-scrivere un racconto spaziale e umano riguardo i paesaggi industriali. Una sorta di “blob” cinematografico che raccontasse un’altra storia o la stessa storia in modo diverso secondo una struttura narrativa trasversale; quindi il montaggio è stato usato non come semplice “metodo per mettere insieme scene e frammenti distinti”, ma come “metodo per guidare, in modo deliberato e forzato, lo spettatore" (William Dieterle).
Si vuole spostare l’attenzione dall’aspetto narrativo del film, al paesaggio industriale che diventa il vero protagonista. Esso viene mostrato innanzitutto da lontano, nel suo inserirsi invasivo nel paesaggio circostante, che sia il vuoto territorio agrario oppure la compressa densità urbana. Ne disegna lo skyline con la verticalità delle torri, dei silos o delle ciminiere, ne offusca la visione con le loro esalazioni, ne occupa lo spazio con i suoi rifiuti. Un’isola ben delimitata da recinti invalicabili che costringono a girarci attorno, che negano qualsiasi rapporto coi luoghi circostanti e creano delle interruzioni nel tessuto urbano-agrario. Il passeggiare lungo quei muri, amplifica la solitudine umana legata a quei luoghi, devoti alla sola produzione in serie. Solo piccole e controllate “spaccature” permettono l’ingresso all’interno di spazi, dove l’organizzazione, gli equilibri tra vuoti e pieni, è semplicemente dettata dalla logica produttiva. Il senso di spaesamento e alienazione aumenta fino ad entrare all’interno degli edifici, contenitori di macchinari, dove regna la frenesia del lavoro. Ma anche spazi che si animano per la protesta di decisioni non condivise. Spazi che infine, abbandonati, si svuotano, che si degradano. Edifici che diventano contenitori di nulla e che perdono la loro funzione, ma acquistano anche un nuovo fascino, quello della rovina, dell’archeologia che evoca suggestioni e si apre a nuove sfide. Nuove strutture o infra-strutture pronte a essere trasformate per ridisegnare il paesaggio secondo nuovi meccanismi.

FILMOGRAFIA:
Sergej M. Ejzenstein, Sciopero, Urss, 1925
Dziga Vertov, L'uomo con la macchina da presa, Urss, 1929
Charles Chaplin, Tempi moderni, Usa, 1931
Giuseppe De Santis, Caccia tragica, Italia, 1947
Michelangelo Antonioni, Il grido, Italia, 1957
Luchino Visconti, Rocco e i suoi fratelli, Italia/Francia, 1960
Michelangelo Antonioni, Il deserto rosso, Italia, 1964
Lina Wertmuller, Mimì metallurgico ferito nell'onore, Italia, 1972
David Lynch, Eraserhead. La mente che cancella, Usa, 1978
Andrei Tarkovskij, Stalker, Russia, 1979
Marco Tullio Giordana, Maledetti vi amerò, Italia, 1980
Michael Moore, Roger & me, Usa, 1989
Gabriele Salvatores, Nirvana, Italia, 1997
Riccardo Milani, Il posto dell'anima, Italia, 2002
Fernando Leon de Aranoa, I lunedì al sole, Spagna, 2002
Aki Kaurismaki, L'uomo senza passato, Finlandia, 2002
Gabriele Gaglione, Nemmeno il destino, Italia, 2003
Michael Glawogger, Working man's death, Austria/Germania, 2005
Gianni Amelio, La stella che non c'è, Italia, 2006

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