Ignasi de Solà Morales nel 1996 descrive quei luoghi coniando il termine terrain vague(1).
Egli usa il termine francese terrain piuttosto che quello inglese land perché lo ritiene più appropriato: il termine francese connota infatti una qualità più urbana, si riferisce al lotto minimo necessario per la costruzione della città, mentre quello inglese ha assunto significati più agricoli e geologici. Ma terrain si riferisce anche a territori più vasti e meno precisamente definiti, legati al concetto fisico di una porzione di terreno con le sue potenzialità di sviluppo, ma già in possesso di una forma di definizione a cui siamo estranei. Per quanto riguarda il secondo termine, vague, Solà Morales mette in evidenza la doppia radice latina vacuus e vagus, che si riferisce ad uno spazio vuoto, non occupato, ma al tempo spesso libero, disponibile. La natura che caratterizza questi territori indefiniti e incerti dunque, è sia quella dell’assenza di uso e funzione, che quella di promessa e di speranza, che li trasforma in territori del possibile, pronti ad essere modificati per costruire nuovi scenari all’interno della città o semplicemente pronti ad accogliere altri modi di essere sfruttati, a volte distanti dalle consolidate ritualità urbane. Terreni indeterminati, imprecisi, sfuocati, incerti, che contengono le aspettative di mobilità, erranza, tempo libero e libertà.
“Sono siti obsoleti nei quali soltanto alcuni valori residui sembrano sopravvivere, nonostante la disaffezione totale dell’attività della città. Sono, in poche parole, luoghi esterni, strani luoghi esclusi dagli effettivi circuiti produttivi della città. Da un punto di vista economico, aree industriali, stazioni ferroviarie, porti, vicinanze dei quartieri residenziali pericolose, siti contaminati, sono diventate aree dove possiamo dire che la città non esiste più. Essi sono i suoi margini, privi di qualsiasi integrazione effettiva; sono isole interne alla città svuotate di attività; sono dimenticate, sviste, resti che sono rimasti al di fuori delle dinamiche urbane. Convertite in aree semplicemente disabitate, insane e improduttive. In breve, questi sono luoghi estranei al sistema urbano, mentalmente esterni nell’interiorità fisica della città, appaiono come la sua immagine negativa tanto nel senso della critica come in quello della possibile alternativa”(2).
I terrain vague non sono luoghi da osservare banalmente dando loro una semplicistica accezione negativa, ma piuttosto risorse di cui è importante capire la potenzialità all’interno del ridisegno del tessuto urbano o nel riequilibrio delle funzioni sociali. Alan Berger nel descrivere le potenzialità dei terrain vague si rifà al processo evolutivo che i biologi chiamano exaptation(3). Questo processo spiega come gli organismi spesso riadattino in modo opportunista strutture già a disposizione per funzioni inedite. Nel mondo animale, ad esempio, le piume che inizialmente servivano ai rettili per l’isolamento corporeo sono diventate successivamente strumenti per il volo. In questa ottica dovrebbero essere letti questi spazi, ossia come parti di un “organismo” urbano in continua evoluzione, spesso nate con una funzione ben precisa, ma pronte ad adeguarsi a nuovi utilizzi, seguendo e partecipando ai nuovi meccanismi di trasformazione della città.
1 “It is impossible to captate in a single English word or phrase the meaning of French terrain vague.
In French, the term terrain has a more urban quality than the English land, so that we must note here that terrain is in the first instance an extension of the precisely limited round, fit for construction, of the city. If i am not mistaken, however, the evolution in English of the same word terrain has given it more agricultural or geological meanings. At the same time, the French word terrain also refers to lager and perhaps less precisely defined areas of territory, connected with the physical idea of a portion of land in its expectant state, potentially axploitable but already possessing some kind of definition in its property to which we are external.
As for the second of the two words which make up the French expression terrain vague, we should note that the term vague has a double latin origin as well as a Germanic origin. This latter, from the root vagr-wogue, refers to sea swell, waves on the water, and carries a signification that is by no means irrelevant here: movement, oscillation, instability, fluctuation.
The English wave derives, of corse, from this same root.
But we have an even greater interest in the two Latin roots which come together in the French term vague. First of all we have vague as a descendant of vacuus, giving us vacant, vacuum in English, which is to say empty, unoccupied. And yet also free, available, unengaged. The relationship between the absence of use, of activity, and the sense if freedom, of expectancy, is fundamental to understanding all the evocative potential that the city’s terrain vagues have accrued as part of the very perception of the city in recent years. Void, then, as absence, and yet also as promise, as encounter, as the space of the possibile, expectation.
There is a second meaning superimposed on the French vague as vacant. This attaches to the term as deriving from the Latin vagus, giving vague in English, too, in the sense of indeterminate, imprecise, blurred, uncertain. Once again the paradox that it produced in the message we receive from these indefinite and uncertain spaces is not necessarily a purely negative one. It certainly appears that the analogous term we have remarked are generally preseded by a negative particle – in-determinate, im-precise, un-certain – , but it is no less the case that this absence of limit, this almost oceanic sentiment, to use Freud’s expression, is precisely the message which contains the expectations of mobility, vagrant roving, free time, liberty”. Ignasi de Solà Morales “Terrain vague” in Quaderns n. 212. P. 36-38. Questo testo è stato scritto in occasione del XIX Congresso del UIA Barcelona 96 Present and futures, Architecture of the Cities.
2 “These are obsolete places in which only a few residual values seem to menage to survive, cespite their total disaffection from the activity of the city. They are, in short, external placet, strange placet left outside the city’s effective circuits and productive structures. From the economic point of view, industrial areas, railway stations, ports, unsafe residential neighbourhoods, contaminated places, have become the areas where it can be said that the city is no longer.
They are its margins, lacking any effective incorporation; they are interior islands voided of activity; they are forgotten, oversights and leftovers which have remained outside the urban dynamic. Converted into areas that are simply un-inhabited, un-safe, un-productive.
In short, these are places that are foreign to the urban system, mentally exterior in the physical interior of the city, appearing as its negative image as much in the sense of criticism as in that of possibile alternative”. Ignasi de Solà Morales Terrain vague in “Quaderns” n. 212. P. 38-39.
3 Gould Stephen J., Vrba Elisabeth S., Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, Telmo Pievani (a cura di), Bollati Boringhieri, Torino, 2008. (Ed. Originale: Gould Stephen J., Vrba Elisabeth S., The structure of evolutionary theory, Belknap Press, Cambridge, 2002)
Nessun commento:
Posta un commento